“Fashion Tech con anima italiana”.
Nel cuore del Canavese, tra le colline che hanno visto nascere diverse storie di impresa familiare, il Gruppo Space 2000 rappresenta oggi una delle realtà più dinamiche, innovative del settore moda.
Notizia di questi giorni è l’acquisizione del ramo d’azienda proprietario di add, marchio italiano pioniere del piumino leggero di design, che rappresenta un’eccellenza italiana del capospalla: un’operazione industriale che rafforza il posizionamento del gruppo nel sistema moda e segna un passo strategico nella sua evoluzione.
A guidare questa crescita e trasformarla in una visione compiuta è Manuele Musso, Amministratore Delegato del gruppo, insieme al fratello Cristiano, che hanno trasformato l’azienda di famiglia in una piattaforma tecnologica globale.
Con lui parliamo di impresa, tecnologia e persone: parole chiave di un futuro che si costruisce ogni giorno.
Dalle radici al futuro
Dottor Musso, la storia del Gruppo 2000 nasce da una radice familiare profonda. Qual è la lezione più importante che ha ereditato?
Ho imparato che un’impresa non è mai solo un luogo di produzione, ma una comunità. Mio padre ha fondato l’azienda partendo da una visione molto concreta del lavoro: costruire valore come un qualcosa che resti. Da lui ho ereditato la convinzione che ogni trasformazione, anche la più tecnologica, deve partire dalle persone.
Spesso le imprese familiari si trovano tra il rispetto delle radici e la spinta all’innovazione. Come si trova l’equilibrio?
Non c’è una formula. Credo che “innovare restando sé stessi” significhi avere chiari i valori di partenza, ma non aver paura di rimetterli in discussione. Noi abbiamo attraversato più generazioni e ogni volta abbiamo dovuto reinventarci: prima da produttori, poi da trader, oggi da industria 4.0.
Tecnologia e visione
Space 2000 è stata tra le prime aziende del settore ad adottare l’RFID per la tracciabilità dei capi. Da dove è nata questa intuizione?
Già nel 2010 avevamo intuito che la tracciabilità sarebbe stata il punto centrale del futuro. Abbiamo introdotto l’RFID per collegare magazzini, negozi e capi in modo automatico, molto prima che diventasse uno standard. Quella scelta ci ha permesso di costruire un modello scalabile e data-driven, senza perdere la flessibilità e qualità artigianale.
Negli anni avete trasformato l’azienda da manifattura tradizionale a impresa 4.0. Qual è stata la svolta?
Il vero salto è avvenuto con la digitalizzazione completa dei processi. Negli ultimi diciotto mesi abbiamo ridisegnato tutti i sistemi informativi e digitalizzato l’intera filiera: un nuovo ERP cloud-based, integrato con PLM e piattaforme di analisi dati, ci consente di governare in tempo reale produzione, logistica e vendite in ogni parte del mondo.
È stato un progetto di enorme rilevanza, ma oggi possiamo dire che l’azienda è interamente connessa, e soprattutto accessibile da ovunque. Il progetto Space 2030, appena lanciato, nasce proprio da questa idea: dopo la tecnologia e il software, il passo successivo è investire sulle persone, perché il vero salto è quello culturale.
Sostenibilità e responsabilità
Produrre quattro volte più energia di quella che consumate non è un dettaglio. È una scelta etica o strategica?
Direi di coerenza. La sostenibilità non è un’etichetta: è efficienza, intelligenza del processo. Se riesci a non toccare un capo fino alla spedizione, stai già riducendo impatti e sprechi. Abbiamo un impianto fotovoltaico che ci rende autosufficienti e stiamo studiando modelli di circolarità reale, in cui ogni risorsa trova una seconda vita.
Persone e cultura d’impresa
In azienda lavorano oltre 140 persone, l’80% donne, età media 33 anni. Quale cultura avete costruito?
La definirei una cultura della fiducia. Siamo un’azienda “matriarcale” nel senso migliore: concreta, empatica, determinata. Perché le persone fanno la differenza, sempre. La tecnologia è uno strumento, non un fine. Il nostro compito è creare le condizioni perché ciascuno possa esprimere il proprio potenziale. La tecnologia non sostituisce l’intuizione, la potenzia. E la vera sostenibilità parte da qui: persone formate, consapevoli, coinvolte.
Si parla spesso di “cultura della trasformazione”. Cosa intende?
Che non si tratta di beneficenza, ma di responsabilità. Noi formiamo le persone perché crediamo che la conoscenza sia il primo strumento di sostenibilità. Nel progetto che ho citato prima, Space 2030, abbiamo creato un vero e proprio “Hub” dedicato alla formazione e all’incontro. Quando un collaboratore cresce, cresce l’azienda e cresce anche il territorio.
Territorio e leadership
Siete un’azienda internazionale ma profondamente radicata nel Canavese. Che valore ha oggi il legame con il territorio?
Enorme. Credo che il futuro dell’impresa italiana passi dalla capacità di restituire valore ai luoghi da cui è partita. Noi abbiamo avuto la fortuna di crescere qui e vogliamo che chi lavora con noi senta lo stesso senso di appartenenza. Il territorio non è solo un luogo fisico, è un ecosistema di competenze e relazioni che si scambia valore.
Lei è anche molto attivo in Confindustria e nelle associazioni di categoria. Quanto conta per lei questo impegno “oltre l’azienda”?
Moltissimo. Mi ha insegnato che l’impresa non è un’isola. Confrontarsi con altri imprenditori, con il mondo educativo e istituzionale, permette di vedere le sfide da un’altra prospettiva. Oggi la responsabilità di chi fa impresa è anche quella di creare valore, formare e restituire alle generazioni future.
Sguardo al futuro
Nei nuovi ambienti creativi di Space 2000 convivono un assistente AI e uno spazio “Agorà” dedicato all’incontro e al confronto. È questo, secondo lei, il futuro del lavoro creativo: un dialogo costante tra persone e intelligenza artificiale?
Si, ma a patto che la tecnologia resti al servizio delle persone. L’assistente AI che abbiamo introdotto non è pensato per sostituire la creatività, ma per amplificarla. Ci aiuta ad analizzare dati, anticipare tendenze, creare varianti di prodotto, ma la decisione finale resta sempre umana. È uno strumento che accelera il pensiero, non lo sostituisce.
L’“Agorà”, invece, rappresenta l’altra faccia della stessa idea: uno spazio fisico e simbolico dove le persone si incontrano, discutono, si contaminano. Dopo anni di digitalizzazione forzata, avevamo bisogno di un luogo che rimettesse al centro le persone e la relazione. Credo che l’innovazione vera nasca proprio lì: nel dialogo continuo tra dati e intuizione, tra algoritmi e sensibilità.
Come anticipato in apertura, l’acquisizione del marchio add segna un passaggio importante nella strategia del gruppo. In che modo questa operazione si inserisce nella vostra visione futura e quali nuove opportunità apre per Space 2000?
L’acquisizione di add è un tassello di una visione più ampia: creare un ecosistema capace di valorizzare competenze, tecnologia e identità di marca in un percorso unico e integrato. add porta con sé un know-how tecnico unico nel capospalla e una cultura di prodotto che si sposa in modo naturale con la nostra. Inserirlo nel gruppo significa arricchire il nostro ecosistema con nuove competenze e ampliare la nostra proposta rafforzando la nostra visione strategica.
Nei prossimi mesi apriremo a Milano nuovi uffici e lo showroom che diventerà l’hub creativo e commerciale dei nostri marchi. È un passo strategico perché ci permette di essere nel cuore del sistema moda italiano e di creare sinergie reali tra design, vendita e mercato, lavorando per consolidarci nei mercati europei chiave.
In sintesi, add non è solo un nuovo brand: è un acceleratore della nostra visione futura, un modo per crescere restando coerenti con la nostra identità e per continuare a costruire valore attraverso le persone, la tecnologia e la cultura industriale che ci contraddistinguono.
Guardando avanti, qual è la sua sfida personale?
Trasformare la complessità in opportunità. Viviamo un tempo che cambia alla velocità della tecnologia, ma il compito di chi guida un’impresa è dare senso a quel cambiamento. Vorrei che Space 2000 restasse un esempio di coerenza: innovare senza perdere la propria identità.
In una frase, cosa significa per lei “fare impresa” oggi?
Fare impresa è realizzare, con soddisfazione, un’idea che diventa progetto e poi realtà. È un atto di fiducia nel futuro, ma anche di responsabilità verso le persone che lo rendono possibile.
Alla domanda ‘’ Pensa che suo padre oggi sia orgoglioso di tutto quello che con suo fratello avete costruito?’’ Manuele Musso si prende un momento prima di rispondere. Poi, con quella schiettezza che appartiene alla cultura canavesana — fatta di poche parole, ma di sostanza — ha riconosciuto che non si è mai troppo generosi a dire “bravo”, ma che l’orgoglio si percepisce nei gesti, negli sguardi.
E racconta: L’ultima volta che abbiamo organizzato un evento aziendale mio padre ha visto quanto l’azienda sia ingrandita, forse nella sua visione imprenditoriale l’avrebbe fatta crescere in modo diverso, ma credo che si sia riconosciuto con orgoglio nella nostra passione e nel nostro impegno di portarne avanti la storia.
L’incontro con Manuele Musso restituisce l’immagine di un imprenditore che unisce visione e concretezza, radici e futuro.
La sua formula sembra semplice, ma è tutt’altro che scontata: “trasformare la quotidianità in visione, e la visione in responsabilità”.
In fondo, come suggerisce la visione imprenditoriale di Manuele Musso, la vera tecnologia è quella che ci restituisce tempo per essere persone.