Intervista a Raul Romoli Venturi

31 Ottobre 2025
RRV AT

ProPosition ha il piacere di ospitare oggi il Dott. Raoul Romoli Venturi, professionista di riferimento nel panorama della comunicazione, con cui abbiamo condiviso negli anni importanti esperienze di collaborazione.

D: Raoul Romoli Venturi un manager di lungo corso, con un curriculum inter-disciplinare e internazionale: un inizio in revisione, poi in amministrazione, finanza e controllo, quindi in relazioni istituzionali e comunicazione, aziende leader nei loro settori - Price Waterhouse, Bacardi Martini e Ferrero -, oggi neo-imprenditore e consigliere del Ministro della Cultura. Possiamo definirla un "boomer" con un percorso professionale molto contemporaneo?

R: E’ vero il mio percorso all’apparenza è molto contemporaneo, poliedrico e con necessità di aggiornamento professionale continuo, ma in realtà mantiene il suo tratto boomer, 40 anni in sole 3 aziende con Bacardi Martini 19 e Ferrero 17! Ho sfruttato le opportunità di cross-fertilization interne alle aziende e tutte le esperienze e competenze della funzione precedente hanno arricchito quella successiva. Un esempio per tutte: l’essere nato professionalmente in amministrazione, finanza e controllo mi ha portato a sviluppare una costante necessità di misurare le performance con i numeri, in un mondo, quello della comunicazione corporate, abituato a valutazioni solo qualitative.

D: Oggi il mondo professionale la conosce soprattutto come ex direttore della comunicazione di Ferrero. Che cosa vuol dire lavorare in comunicazione oggi e come ha deciso di mettersi in proprio a 64 anni e continuare a lavorare in comunicazione con la Società di famiglia?

R: E’ vero il mondo esterno mi conosce soprattutto per i miei 17 anni in Ferrero ed è un marchio, o marchi Nutella-Kinder, ai quali mi onoro di essere associato ed inevitabilmente danno valore ai miei pensieri sulla professione. La comunicazione è un’area professionale dai confini ancora mal definiti accademicamente. Purtroppo, c’è ancora molta confusione tra chi sia un comunicatore professionale o chi svolga altri mestieri simili. Ad esempio, nel sentire comune un giornalista è un comunicatore. In realtà un giornalista lavora nell’informazione che è cosa diversa dalla comunicazione o almeno dovrebbe esserlo. Correntemente si parla degli influencer come di comunicatori, in realtà sono degli strumenti della comunicazione online, sono quelli che quando vengono usati nei media tradizionali chiamiamo testimonial, o con un termine più contemporaneo, ambassador. Potrei andare avanti. Un comunicatore d’impresa racconta la sua azienda e i suoi prodotti, costruisce la sua e la loro reputazione e li difende nei casi di crisi. Costruisce ed interagisce con il network di stakeholders che hanno rapporti con la propria azienda. Pochi sanno che l’UNI, l’Ente italiano di normazione, ha definito il profilo del comunicatore professionale e ne individua cinque tipologie (d’impresa, pubblico, politico, sociale e tecnico), alle quali ne possiamo aggiungere una sesta quella del comunicatore pubbli-promozionale. La SAA – School of Management di Torino è ad oggi l’unico ente abilitato alla certificazione del comunicatore professionale secondo le norme UNI. Altri istituti dovrebbero abilitarsi e questa certificazione dovrebbe avere una ben più ampia diffusione sul territorio nazionale.  A 64 anni, oggi 65, ho deciso di spendermi in autonomia per incidere sugli insegnamenti dell’Accademia in materia di Comunicazione e di lavorare nella società di comunicazione di famiglia assistendo clienti diversi nello sviluppo di strategie di comunicazione. La scelta di mettersi in proprio è legata alla volontà di continuare a lavorare aldilà della barriera dei 67 anni e per farlo era necessario partire prima di essere considerato un pensionato dal mercato. Lavoro divertendomi e questo mi mantiene aggiornato e con tanta energia  

D: A latere delle attività con la Romoli Venturi & Partners, è anche Consigliere del Ministro della Cultura. In una recente intervista l’ha definita un’attività di volontariato nazionale, che cosa vuol dire?

R: Il Ministro della Cultura, Alessandro Giuli, che conosco da tanti anni, dai tempi in cui era Vice-direttore, poi Condirettore de Il Foglio, mi ha chiesto se potevo supportarlo su un tema, che sapeva essere di mio grande interesse e che rappresenta uno dei punti qualificanti della sua politica di Governo, quello delle politiche culturali per gli italiani nel mondo e sul quale avevo scritto un libro oltre vent’anni fa. Ho accettato l’incarico a titolo gratuito e ho coniato, quindi, questo termine volontariato nazionale, per differenziarlo dal più noto volontariato sociale. L’obiettivo dell’incarico, condiviso con il Ministro, è quello di sviluppare la rete di un popolo italiano globale che sia legato idealmente ad un territorio fisico dal quale non può prescindere, perché ne segna l’identità, ma che esprima spiritualmente e culturalmente un’italianità diffusa, accesso alla dimensione nazionale virtuale. La cultura deve essere al centro di un progetto di rinascimento politico ed economico che proietti fuori dai nostri confini e nel mondo, attraverso 120 milioni di ambasciatori espressione della tradizione italiana nei 5 continenti, un modello di civiltà che abbia nella bellezza, nella creatività e nella capacità di dialogo gli assi portanti di uno stile di vita che sviluppi pace e benessere, è un Piano Olivetti della Cultura. Il progetto, così inteso, è un potente strumento di soft power che quando fosse pienamente operativo rappresenterebbe per l’Italia l’occasione di influenzare attraverso un’efficace e pacifica moral suasion la politica internazionale. Offrirebbe anche l’opportunità di sviluppare una demografia nazionale più facilmente integrabile, attraverso un parziale rientro italico sul territorio nazionale, risultando attrattivi per scelta culturale e non per costrizione economica. Più sinteticamente dobbiamo impegnarci per reinserire attraverso la cultura nel Sistema Italia che conosciamo, l’altra Italia, quella dei 60 milioni di italici, se li vogliamo chiamare come Bassetti, o di “oriundi”, termine noto ai più solo per motivi calcistici, oppure più banalmente di coloro che hanno origini italiane, che conosciamo molto meno. Un progetto politico di lungo termine, che potrebbe essere di tutti, senza partigianerie politiche, nel solo interesse dell’Italia.